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266 | pensieri | (159) |
grilli e altri tali che nel continuo uso della loro voce non par che possano avere altro fine che il diletto). Ed io sono persuaso che il canto degli uccelli li diletti non solo come canto, ma come contenente bellezza, cioè armonia, che noi non possiamo sentire non avendo la stessa idea della convenienza de’ suoni (7 luglio 1820).
* Osservate ancora un finissimo magistero della natura. Gli uccelli ha voluto che fossero per natura loro i cantori della terra, e come ha posto i fiori per diletto dell’odorato, cosí gli uccelli per diletto dell’udito. Ora, perché la loro voce fosse bene intesa, che cosa ha fatto? Gli ha resi volatili, acciocché il loro canto, venendo dall’alto, si spargesse molto in largo. Questa combinazione del volo e del canto non è certamente accidentale. E perciò la voce degli uccelli reca a noi piú diletto che quella degli altri animali, fuorché l’uomo, perché era espressamente ordinata al diletto dell’udito. E credo che ne rechi anche piú agli altri animali, che sono in uno stato naturale, e forse perciò piú capaci di trovarci o tutta o in parte quell’armonia che ci trovano gli stessi uccelli, e che noi non ci troviamo, perché allontanandoci dalla natura abbiamo perduto certe idee primitive intorno alla convenienza, non assolute e necessarie, ma tuttavia dateci forse arbitrariamente dalla natura. Io credo che i selvaggi trovino il canto degli uccelli molto piú dolce; e mi pare che si potrebbe provar lo stesso degli antichi, i quali è noto che sentivano maggior diletto di noi nel canto delle cicale ec., delle quali pure, e simili, si può notare che cantano sopra gli alberi.
* Da tutte le cose dette nei pensieri qui sopra, inferite che le nostre cognizioni intorno alla natura o dell’uomo o delle cose e le nostre deduzioni, raziocinii,