* Le parole come osserva il Beccaria (Trattato dello stile), non presentano la sola idea dell’oggetto significato, ma, quando piú quando meno, (110) immagini accessorie. Ed è pregio sommo della lingua l’aver di queste parole. Le voci scientifiche presentano la nuda e circoscritta idea di quel tale oggetto, e perciò si chiamano termini, perché determinano e definiscono la cosa da tutte le parti. Quanto piú una lingua abbonda di parole, tanto piú è adattata alla letteratura e alla bellezza ec. ec.; e per lo contrario quanto piú abbonda di termini, dico quando questa abbondanza noccia a quella delle parole, perché l’abbondanza di tutte due le cose non fa pregiudizio. Giacché sono cose ben diverse la proprietà delle parole e la nudità o secchezza, e se quella dà efficacia ed evidenza al discorso, questa non gli dà altro che aridità. Il pericolo grande che corre ora la lingua francese è di diventar lingua al tutto matematica e scientifica, per troppa abbondanza di termini in ogni sorta di cose, e dimenticanza delle antiche parole. Benché questo la rende facile e comune, perch’é la lingua piú artifiziale e geometricamente nuda ch’esista oramai. Perciò ha bisogno di grandi scrittori che appoco appoco la tornino ad assuefare allo stile e alle voci del Bossuet, del Fénélon e degli altri sommi prosatori del loro buon secolo, e cosí nella poesia. Mad. di Staël mostra col fatto di averlo conosciuto; e il suo stile ha molto della pastosità dell’antico a confronto dell’aridità moderna e di quegli scheletri, regolari ma puri scheletri, di stile d’oggidí. Ed anche non farebbe male ad attingere alle antiche sue fonti d’Amyot e degli altri tali, che usati con discrezione ridarebbero alla lingua quel sugo ch’ella oramai ha perduto anche per la monotona e soverchia regolarità della sua costruzione (che anch’essa contribuisce massimamente a renderla comune in Europa) di cui tanto si lagnava il Fénélon ed altri insigni (Vedi l’Algarotti, Saggio sulla lingua francese). Adattiamo questa osservazione