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208 | pensieri | (98) |
gioia, perché il suo bene l’inebbria e gli leva il gusto e la forza di occuparsi in verun altro pensiero. E massimamente la compassione è incompatibile col suo stato, quando egli o è tutto pieno della pietà di se stesso, o prova un’esaltazione di contento che gli dipinge a festa tutti gli oggetti e gli fa considerar la sventura come un’illusione, per lo meno odiarla come cosa alienissima da quello che lo anima e lo riempie tutto in quel punto. Solamente gli stati di mezzo sono opportuni all’interesse per le cose altrui, o anche un certo stato di entusiasmo senza origine e senza scopo reale, che gli faccia abbracciar con piacere l’occasione di operare dirittamente, di beneficare, di sostituir l’azione all’inazione, di dare un corpo ai suoi sentimenti e di rivolgere alla realtà quell’impeto di entusiasmo virtuoso, magnanimo, generoso ec., che si aggirava intorno all’astratto e all’indefinito. Ma, quando il nostro animo è già occupato dalla realtà, ossia da quell’apparenza che noi riguardiamo come realtà, il rivolgerlo ad un altro scopo è impresa difficilissima; e quello è il tempo piú inopportuno di sollecitar l’interesse altrui per la vostra causa, quand’esso è già tutto per la propria e lo staccarnelo riuscirebbe penosissimo al supplicato. Molto piú se la gioia sia di quelle rare che occorrono nella vita pochissime volte e che ci pongono quasi in uno stato di pazzia: sarebbe da stolto il farsi allora avanti a quel tale, ed esponendogli con qualsivoglia eloquenza i propri bisogni e le proprie miserie sperare di distorlo dal pensiero ch’è padrone dell’animo suo, e che gli è sí caro e, quel ch’è piú, condurlo ad operare o a risolvere efficacemente d’operare per un fine alieno da quel pensiero; al quale egli è cosí intento anche in udirvi, che appena vi ascolta, e se vi ascolta, cerca di abbreviare il discorso, di ridur tutto in compendio, per poi dimenticarlo affatto; ed ogni suo desiderio è rivolto al momento in cui avrete finito, e lo lascerete pascere di quel pensiero che lo signo-