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(84-85) pensieri 195

*   Nella mia somma noia e scoraggimento intiero della vita, talvolta riconfortato alquanto e alleggerito, io mi metteva a piangere la sorte umana e la miseria del mondo. Io rifletteva allora: Io piango perché sono piú lieto. E cosí è che allora il nulla delle cose pure mi lasciava forza d’addolorarmi, e quando io lo sentiva maggiormente e ne era pieno, non mi lasciava il vigore di dolermene. (85)


*    Cum pietatem funditus amiserint
           Pi tamen dici nunc maxime reges volunt.
           Quo res magis labuntur, haerent nomina.


*   Io era spaventato nel trovarmi in mezzo al nulla, un nulla io medesimo. Io mi sentiva come soffocare, considerando e sentendo che tutto è nulla, solido nulla.


*   Prima di provare la felicità, o vogliamo dire un’apparenza di felicità viva e presente, noi possiamo alimentarci delle speranze; e se queste son forti e costanti, il tempo loro è veramente il tempo felice dell’uomo, come nella età fra la fanciullezza e la giovanezza. Ma provata quella felicità che ho detto e perduta, le speranze non bastano piú a contentarci, e la infelicità dell’uomo è stabilita. Oltre che le speranze dopo la trista esperienza fatta sono assai piú difficili, ma in ogni modo la vivezza della felicità provata non può esser compensata dalle lusinghe e dai diletti limitati della speranza, e l’uomo in comparazione di questa piange sempre quello che ha perduto e che ben difficilmente può tornare, perché il tempo delle grandi illusioni è finito.


*   Uomo còlto in piena campagna da una grandine micidiale e da essa ucciso o malmenato, rifugiantesi sotto gli alberi, difendentesi il capo colle mani ec.: soggetto di una similitudine.