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fede o la minore acutezza degli antecessori, e semplificherebbe d’assai la scienza dell’animo umano, rapportando gl’infiniti fenomeni che sembrano anomalie, perché infatti la scienza non è ancora stabile né ordinata e ridotta in corpo, a principii universali o poco lontani da essi: opera principale e formatrice di tutte le scienze, e scopo ordinario di chi ricerca le cagioni delle cose. Per esempio, il desiderio naturale degli uomini di supporre animate le cose inanimate, tanto manifesto ne’ fanciulli, deriva dal desiderio e propensione nostra verso i nostri simili, principio capitale, e primitivo, e fecondissimo. Vedi il mio discorso sui romantici  (54).


*   Quando la poesia per tanto tempo sconosciuta entrò nel Lazio e in Roma, che magnifico e immenso campo di soggetti se le aperse avanti gli occhi! Essa stessa già padrona del mondo, le sue infinite vicende passate, le speranze, ec. ec. ec. Argomenti d’infinito entusiasmo e da accendere la fantasia e ’l cuore di qualunque poeta anche straniero e postero, quanto piú romano o latino, e contemporaneo o vicino proporzionatamente ai tempi di quelle gesta! Eppure non ci fu epopea latina che avesse per soggetto le cose latine cosí eccessivamente grandi e poetiche, eccetto quella d’Ennio, che dovette essere una misera cosa. La prima voce della tromba epica che fu di Lucrezio, trattò di filosofia. Insomma l’imitazione dei greci fu per questa parte mortifera alla poesia latina, come poi alla letteratura e poesia italiana nel suo vero principio, cioè nel cinquecento l’imitazione servile de’ greci e latini. Onde, con tanto immensa copia di fatti nazionali, cantavano, lasciati questi, i fatti greci; né io credo che si trovi indicata tragedia d’Ennio o d’Accio ec. d’argomento latino e non greco. Cosa tanto dannosa, massime in quella somma abbondanza di gran cose nazionali, quanto ognuno può vedere. E lo vide ben Virgilio col suo gran giudizio, non però la