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dell’impero di Roma, anzi del mondo.
Lucio Vero. Il consiglio è fedel, ma troppo è crudo.
Claudio. Pietosa è crudeltá quando ella giova.
Lucio Vero. Ma non quando ella uccide.
Claudio. Cesare, ancor rifletti
a che aspiri e che perdi.
Deh, lascia una beltá che te non cura,
una beltá ch’è d’altri, e il cui possesso
o rapito o concesso
ti farebbe infelice.
Lucio Vero. Ch’io lasci Berenice?
Claudio. Il regno, o lei; né giá sperar che Roma
soffrir ti possa una straniera al fianco
coll’indegno ripudio
d’una ch’è del suo sangue. A tant’oltraggio
si risente e ne freme. Essa perduta
ha ben la libertá, non il coraggio.
Lucio Vero. Vedo il periglio e il temo;
ma piú temo il rimedio.
Claudio. Coraggio, Augusto!
Lucio Vero. Io tento, Claudio, tento
uscir di servitú, ma poi non posso.
Scuoto i miei ceppi e piú ne sento il peso;
agito la mia fiamma,
e piú l’incendio cresce. Il mio cordoglio
quanto ha piú di contrasto, ha piú d’orgoglio.
Claudio. Ama e rifletti
che un regno può tòrti
amor di beltá.
Deh, reggi
gli affetti,
ché mal sa dar leggi
quel cor che non l’ha.