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atto quinto | 43 |
SCENA III
Eco e Lesbíno.
Dov’è il mio amante?
Ditel, pietose
aure vezzose,
amiche piante.
Lesbíno. Con qual coraggio, o ninfa,
dirti potrò: Narciso è morto?
Eco. È morto?
Morto dunque è Narciso? e il cielo iniquo
perire in quel bel viso
lasciò della sua man l’opra piú vaga?
Ma dove son l'ossa adorate? e dove
quel bellissimo volto? A me sol tocca
l’ultimo onor del rogo.
Lesbíno. Eccolo, o bella,
cangiato in fior dalla pietá de’ numi.
E dalle sponde istesse, ond’ei giá cadde,
poiché in fiore rinacque,
torna sé stesso a vagheggiar neli’acque.
Eco. O fior che in te ritieni
dell’antica beltá l'orme primiere!
Cosí mai non ti offenda
turbine irato o incauto piè ti atterri.
Ne’ miei baci ricevi
gli ultimi miei respiri. Oimè, perch’io
tutta voce non sono,
per dire i pregi tuoi, l’affanno mio?
(si va cangiando in voce, ritirandosi fra gli alberi)
Or che morto è Narciso,
in vita si penosa, in tanto duolo,
che piú dimoro? . . . . . moro.