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atto quinto | 41 |
SCENA II
Narciso e Lesbino.
per timor di naufragar.
Sol io, pien del mio cordoglio,
torno ancora a quella fonte
ch’è cagion del mio penar.
Lesbino. Dove, o gentil Narciso?
Narciso. (torna a sedersi alla fonte)
Alla fonte, o Lesbino, anzi alla morte.
Lesbino. (Qual dolor mai l’opprime?)
Narciso. Oimè! Che volto è quel? Dove son giti
delle purpuree gote,
delle labbra vermiglie i bei colori?
Chi v’ha tolto, o pupille,
quel dolce raggio? Ov’è il sereno e il brio
della fronte e del ciglio?
Ah, che piú non ravviso
in Narciso... Narciso!
Lesbino. (Ei sé stesso vagheggia, e duolsi e piange.)
Narciso. Tornate a serenarvi,
bellissime pupille,
o morirò.
Lasciate vagheggiarvi
piú liete e piú tranquille;
sinché a pianger seguite, io piangerò.
Lesbino. (Come gli sviene in su le labbra il vezzo,
e gli si oscura in su la fronte il ciglio!)
Narciso. Ma cosí vil son io? Dov’è l’antica
fermezza? e qual divenni? (sorge dalla fonte)
Spiriti generosi, in seno ancora
rintuzzatemi ’l cor. Fuggiam... ma dove