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30 i - il narciso


SCENA VIII

Uranio e i suddetti.

Tirreno.   Or seco

potrai cantar della tua ninfa i pregi.
Uranio. Se non ne sdegni ’l paragon...
Lesbino.   Son pronto.
Tirreno. Un mio baston di faggio
che giá in dono mi diede il vecchio Aminta,
fia degno premio al vincitor. Noi tutti
i giudici sarem del canto vostro.
Uranio. Cantiam, tu d’Eco, io di Cidippe il volto.
Tirreno. Lesbin principi, Uranio segua. Attento
ognun taccia; io v’ascolto.
Lesbino. Occhi cari, adorati,
vive del sol fiammelle,
occhi non siete, no, ma siete stelle.
Uranio. Labbra dolci e soavi,
cune di amor vezzose,
labbra non siete, no, ma siete rose.
Lesbino. Dell’aureo crine meno biondeggiano
le spiche intatte.
Uranio. È assai men bianco del fronte candido
il puro latte.
Lesbino. Ma con sí gran beltá,
come accordi, idol mio, tanta empietá?
Uranio. Con sí gentil sembianza,
come si unisce, oh Dio, tanta incostanza?
Lesbino. Vedrò prima al mio pianto i sassi piangere,
e sospirare a’ miei sospiri i frassini,
che mai quel duro cor io possa infrangere.
Uranio. Vedrò prima su l’ali il vento immobile,
le frondi non cader degli euri al sibilo,
che mai trovi costanza in cor sí mobile.