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atto secondo | 19 |
SCENA V
Narciso, Eco e Lesbino.
degl’incendi di amor pietá tu mostri,
prendine ancor de’ miei, tanto piú fieri
quanto piú rara è la beltá che m’arde.
Narciso. Odi, o Lesbin.
Eco. (Che sará mai?)
Narciso. Pietade
le follie degli amanti a me non fanno.
Se per Cidippe Uranio avvampa, io prendo
a sovvenirne i mali,
non per pietá, ma per sottrarmi a lei
che ognor coi pianti a frastornar sen viene
l’alta tranquillitá de’ sensi miei.
Ma tu per Eco avvampi,
non men di me fiera, di amor rubella.
Vedila! (mostrandogli Eco)
Lesbino. Oh Dio!
Narciso. Non men crudel che bella.
Eco. (Parlan di me.)
Lesbino. Narciso,
deh, se in te alberga umanitá, per quella
sacra amistá che a me giurasti, e ch’io
sin da’ primi anni a te serbai, per quelle
tenerezze innocenti
pietá n’impetra, o mi vedrai fra poco
cadavere di amor, vittima esangue,
versar dal sen trafitto
con l’ultimo sospir l’ultimo sangue.
Narciso. A duro uffizio oggi ’l tuo amor m’impegna.
Voglia il cielo che invano