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SCENA III

Eumeo, Telemaco, Astianatte e i suddetti.

Eumeo. Egli è tempo che tremi,

Andromaca, il tuo orgoglio. Ecco all’arcano
squarciato il velo, e il mal negato figlio.
Andromaca. Chi ’l nega? Tu lo vedi e il vede Ulisse,
ma il conosce la madre.
Eumeo. Faccianne prova ornai. Piangi tua sorte.
(preso per la sinistra Telemaco, lo presenta ad Ulisse, e
con la destra addita Astianatte ad Andromaca)
Questi d’ Ulisse sia, quegli di morte.
Andromaca. (Con qual arte, onde il seppe?)
Ulisse. (Osservo e ascolto.)
Eumeo. Di’, ben m’apposi al ver?
Andromaca. (ad Astianatte) Viscere mie,
che non feci per tema
di perderti? Ah, ti perdo, e nulla feci!
Vieni, (prendendo il fazzoletto)
Astianatte. In me lien sentia d’Ettore il sangue.
Andromaca. (mostra di piangere)
Prendi gli amplessi, prendi i pianti miei.
(voltandosi verso Telemaco e sorridendo)
Ma condannato a morte,
a te pur, figlio mio, cosi direi.
Ulisse. A pianto femminil creda chi vuole.
Eumeo. Signor, l’ultimo sforzo
dell’industria materna è quel sorriso.
Credilo. Eumeo non sa ingannarti. È questi
Telemaco. In quel petto
la provvida natura impresse il segno
che né mentir me lascia,
né te piú dubitar. Toglie i sospetti