Pagina:Zeno, Apostolo – Drammi scelti, 1929 – BEIC 1970951.djvu/191

Giuseppe. Chi falli del suo fallo avrá la pena.

Ruben. No; di noi nessun si esenti
dai piú barbari tormenti.
Rei sarem tutti in un solo.
Se col reo comune avremo
il dover, la patria, il sangue,
seco ancor divideremo
verghe, funi, infamia e duolo.
Giuseppe. Il giudizio sospendo
sinché’l furto convinca. Ah! se del santo
Giacobbe ognor Torme seguite aveste,
non avrei che temer. Ma in piú di voi
scorgo un vecchio delitto e mal taciuto:
un misero venduto,
un tradito innocente;
e invidia ’l consigliò... Basta... Il ciel tarda
i misfatti a punir, ma non li obblia.
Ruben, Giuda e Simeone.
(Far ch’egli sappia la perfídia mia.)
Ramse. La tazza al fin pur si rinvenne.
Giuseppe. E dove?
Ramse. Fra’ tuoi, signor, piú ricchi doni ascosa
Beniamin Tavea.
Giuseppe. Beniamin?
Ramse. Quello è ’l suo sacco. II furto
vedi e l’autor. Malizia avanza gli anni.
Beniamino. Io rubator?
Giuseppe. Si arresti.
Non vel diss’ io, che a quel saper, con cui
leggo ne’ cori i piú riposti arcani,
vano è’l mentire e mal s’adombra il vero?
Beniamino. O cieli! chi di me fu piú innocente?
Giuseppe. Non piú. Resti egli solo alla sua pena.
A voi tutti perdóno. Itene al padre.
Beniamino. E senza me voi far ritorno a lui?
Che dirá? Qual conforto