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era Alessandro. Augusta,

lasciami ’l mio Alessandro, altro non chiedo.
Giulia. Ciò che appunto piú temo è quel che chiedi.
Con qual’armi potresti a me far guerra,
che con l’amor del figlio?
No, no, piú noi vedrai. Vanne in esiglio!
Sai. lustia. Piú noi vedrò?
Giulia. Giá la sentenza è scritta.
Vanne, misera, vanne
nelle libiche arene
sol di mostri feconde. Ivi al mio core
di Sallustia non fia mostro peggiore.
Beltá piú vezzosa
piú tenera sposa
ma meno superba
al figlio darò;
al talamo eccelso
di augusto regnante
un vago sembiante
mancar mai non può.

SCENA XIV

Sallustia e poi Marziano.

Sallustia. Qual torrente, qual turbine di mali

m’inonda e mi rapisce? Io che poc’anzi...
Marziano. Figlia, qual ti lasciai? Qual ti ritrovo?
Sai. lustia. Di mia sfortuna a te si tosto il grido
pervenne, o genitor?
Marziano. D’alto non cade
grave mole giammai senza rimbombo.
Sallustia. Che consigli in tal uopo?
Marziano. Ubbidir con virtú, soffrir con senno.