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Morto nel 1386 Carlo di Durazzo, vittima della sua smodata ambizione e della sua sete di conquiste, abbenchè le storie quasi per istrazio lo chiamino Carlo della Pace, il figliuol suo Ladislao fu acclamato re a Napoli, non più che decenne, tutrice la madre. Riaccesa tosto la guerra fra gli angioini e i durazzeschi, i primi, cui pareva arridere la sorte delle armi, toccarono gravi rovesci; e gli Abruzzi nel 1390 avean già abbracciata la causa di Ladislao, all’infuori dell’Aquila che teneva ancora da Lodovico secondo. Il 15 luglio del 92 mosse il giovinetto re con forte esercito a debellarla1, ma non l’ebbe che il 20 agosto 95 quando erano al colmo i disastri di Lodovico, che aveva anche perduta la capitale. Dopo la quale dedizione dovettero coniarsi i bolognini aquilani di Ladislao, il cui impronto, inesattamente datoci dal Vergara2, è qui riprodotto al n. 4. Porgono da una faccia le solite sigle a.q.l.a. ed all’ingiro + ladislavs.rex.; dall’altra il consueto busto di S. Pier Celestino e la scritta .s.petrvs.pp.9fe. Pesano acini 18. Raffrontati fra loro parecchi esemplari, offrono lievi diversità di conio, che non vale la pena d’annoverare.
La zecca dell’Aquila pare non si tenesse ligia alle regie prescrizioni sulla bontà e sul peso delle monete; ce lo attesta una provisione del 1404 diretta Nanno Massarello de Balneo de Aquila, pro solutione lib. C, pro damnis passis ob prohibitam siclam cudendi bolonginos in civitate Aquile, ob falsitatem monete3; dalla quale impariamo quanto grave motivo determinasse il re a chiuder la zecca. Che poco stante siasi riaperta, mi move a conghietturarlo una nuova foggia di bolognini che d’essa uscirono, non poco diversi dal tipo pontificio sino allora seguito, e discrescenti nel peso, che appena oltrepassa 17 acini. Variano essi da quelli testè descritti per ciò che, invece dal busto di san Pier Celestino, ne mostrano la mezza figura colla