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gno1, la quale è ancora il meno incompleto lavoro che si abbia in fatto di numismatica napoletana, diede inciso al n. 2 della tav. XVI il seguente bolognino, che più correttamente intagliato qui si ripubblica al n. 2 della prima tavola:
D. + lvdovicvs.rex Nell’area le sigle a.q.l.a., Aquila, disposte in croce, punto nel centro.
R. s.petrvs.pp. 9fes., papa confessor. Busto mitrato di papa Celestino V, o san Pier Celestino, veduto di prospetto, imitante il busto del pontefice, quale appare sui bolognini romani colla epigrafe v.r.b.i. degli ultimi anni del secolo XIV. Pesa acini 25.
Alle pagine 52 dell’opera stessa il Vergara, che nella descrizione e nel disegno della moneta scambiò le quattro sigle del diritto in i.i.q.l., che non danno alcun senso2, l’attribuisce a Lodovico I di Angiò, secondogenito del re di Francia, adottato da Giovanna I nel 1381, il quale, dopo la morte della regina, coronato e investito dall’antipapa Clemente VII, contese il trono a Carlo di Durazzo. Contro la opinione del Vergara sorse nel 1846 Giuseppe Maria Fusco, rivendicando la moneta stessa a Lodovico II, figlio del precedente e a lui succeduto ne’ diritti al reame il 1385; perciocchè il padre suo, mi valgo delle parole di quel valente nummografo, «inutilmente guerreggiando con Carlo di Durazzo, non ebbe in stabil modo alcuna parte del reame in suo dominio, ed in fine morì in Bisceglie di ferite e di dolore, dopo la memorabile giornata avvenuta vicino Bari3. In sì breve spazio di tempo, senza mai conquistare la capitale, e con un inimico tanto vigile d’appresso, non pare che questo Lodovico avesse potuto battere moneta, o a meglio dire, è assai più consentaneo alla ragione ed alla storia, il tenere improntate queste pervenuteci dall’altro Lodovico di Angiò di lui figliuolo, il quale di poi la morte di Carlo della Pace tenne per ben lunga stagione in sua