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nava un sesto di carlino ed un sessantesimo di ducato; e questo valore mantenne negli Abruzzi fino alla metà del secolo XV, abbenchè Alfonso I concedesse nel 1439 ai sulmonesi lo stampo di nuovi bolognini da 50 al ducato, suddivisi ciascuno in 6 tornesi, ovvero in 12 denari.

Cella è voce corrotta da uccello, nome a moneta derivato dall’aquila suvvi effigiata, per dinotare la zecca onde usciva, ed arme parlante dell’Aquila. Infatti Antonio di Buccio, che fiorì circa il 1382, così ci descrive il gonfalone di quella città rinnovato a’ suoi giorni:

Una baniera nova per comuno facta fone,
Cioè l’aquila bianca nello rossio pendone1.

Le celle si coniarono ad Aquila sotto Giovanna II e Renato, e il valore ne conosciamo dalla succitata tariffa pontificia del 1439: celle aquilane cinquini 6, cioè denari 30. Onde avviene che il bolognino equivalga a due terze parti della cella, e 40 celle pari a 60 bolognini formino il ducato. In un documento del 1433 vedremo le celle indicate col nome di quartaroli, o di quarte parti del carlino; nel 1442, di trentini, perchè divise in 30 denari. Vietatone però lo stampo da Ferdinando I di Aragona nel 1458, non ne cessò la circolazione anche negli anni successivi, perciocchè nel 1468 le troviamo così avvilite da computarsene 30 a 55 per ducato, e nel 1473 ancor più abbassate fino a volercene, per ogni ducato, 60. La cella ed il bolognino, soverchiati dalla nuova moneta degli aragonesi, scomparvero finalmente dal corso verso il 1480.

Le prime monete che si hanno dell’Aquila portano il nome di un Lodovico di Angiò. Niun documento esistendo della originaria concessione della zecca aquilana, discordano gli eruditi nell’attribuzione di tali pezzi, alcuni ascrivendoli al primo, altri il secondo Lodovico. Don Cesare Antonio Vergara, che nel 1715 pubblicò una riputata illustrazione delle monete del re-

  1. O. c. 798, st. 727.