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medaglie, nonché i tarì d’oro di nuova foggia, prevalendosi di monetieri di Brindisi. La zecca dell’oro fu trasferita nel 1278 a Napoli, come più addietro ho avvertito, e pare che allora quella di Barletta fosse già cessata.

Riassumendo le compendiose notizie sinora esposte, vedemmo finita la zecca di Benevento in sul declinare del nono secolo, la salernitana sullo scorcio del duodecimo, quella di Capua al più tardi nel 1130, quella di Gaeta nel 1233, quella di Amalfi verso il 1222, la brindisina prima del 1284; nè potendosi ragionevolmente attribuire che una esistenza effimera alle officine di Taranto, Teano, Sorrento, Mileto, Bari, Manfredonia e Barletta, e trovandosi in potere degli aragonesi Palermo e Messina, la sola zecca operosa del regno, durante il governo di Carlo II, di Roberto e di Giovanna I, era quella di Napoli.


Venghiamo ora ai sistemi monetarii del regno nell’epoche sovraccennate. Nei paesi sottoposti ai longobardi conteggiavasi a solidi di puro oro, ragguagliati al peso di un sesto d’oncia e frazionati ciascuno in tre tremissi o in 24 silique; il tremisse, almeno nel secolo IX, divideasi in 16 denari d’argento, ond’è che il solido a 48 denari corrispondeva. Ma siccome la zecca beneventana, ove tali monete coniaronsi in copia per vero straordinaria, le emetteva discrescenti nel peso, come nel titolo assai deteriorate, così negl’istromenti troviamo preferirsi sempre quelle uscite dalle zecche imperiali, le quali non voleano di cotal frode macchiarsi; quindi è ch’eziandio nei documenti di Benevento occorre sì frequente menzione dei solidi bizanzii costantinopolitani. A Napoli le ragioni si teneano del pari in solidi bizanzii, variamente divisi in due semissi, in tre tremissi, in quattro tarì d’oro, o in dodici migliaresi d’argento; diverso l’appellativo del tarì a seconda della zecca ond’era uscito, amalfitano, salernitano, siculo. Ma cessato l’uso dei solidi alla conquista normanna, sottentrò il computo ad once d’oro da 30 tarì ciascuna, e il tarì assunse per siffatta guisa


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