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di tipo beneventano col nome di san Michele protettore della nazione longobarda, altre rozzissime impresse da un Atenolfo, da un Landolfo e forse anche Landone o Landenolfo, altre su cui leggonsi combinati i nomi di Landolfo e Paldolfo, senza che possa con sicurezza determinarsi a quali principi di quei nomi deggiano ascriversi. E ve n’ha pure di uno de’ due Riccardi conti di Aversa e principi normanni di Capua nella seconda metà del secolo undecimo, nonchè di Roberto I fratello di Riccardo II, o di Roberto II che perdette nel 1150 la signoria toltagli dal duca di Puglia, Ruggeri. Che la zecca capuana, chiusa nel dodicesimo secolo, siasi riattivata nel decimoquinto da Ferdinando I di Aragona, è voce dagli storici ripetuta, ma non suffragata da documento veruno, nè da veruna incontrastabil moneta.

Non parlerò di un enimmatico pezzo di rame, la cui svisata epigrafe parve a taluni indicare la zecca di Taranto1, nella quale si coniarono bensì nel secolo XIV tornesi di Filippo principe di Acaja col castello di Tours, imitati più tardi dai Monforte di Campobasso; nè della moneta colla effigie del Batista e il nome di Teano, o di quella di un Sergio duca di Sorrento, ambedue incise nelle tavole di Salvatore Fusco2, ma con sì trascurato disegno che, senz’altro ajuto da quelle tavole in fuori, ogni giudizio potria ritenersi infondato.

Gioverà piuttosto soffermarci alcun poco a Gaeta, la cronologia de’ cui duchi parve, anche a quel prodigio di erudizione che fu il p. Alessandro di Meo, un tessuto di tenebre per così dire fatali3. Ciò non di meno, è comprovato da documenti che nel terzo decennio del nono secolo Gaeta aveva i suoi

  1. Welzl von Wellenheim, Verzeichniss ec. T. II, P. I, p. 280, n. 3248 e 3249.
  2. Salvatore Fusco, Tavole di monete del reame di Napoli e Sicilia, inserite negli Atti dell’Accademia Pontaniana, T. IV, tav. I, n. 8 e 9; tav. IV, n. 8.
  3. Di Meo, Apparato cronologico agli Annali del regno di Napoli della mezzana età, Spoleto 1831, pag. 188.