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» chiaro raccogliere il sentimento delle impressevi parole. Dappoichè vi mancano due lettere nel suo principio, ed altrettante delle rimanenti, la prima e l’ultima, non sono di certa lezione. Tuttavolta parendomi esse un c ed un i, non possono formare altra leggenda, se non ...cvs*vr*co*mi*. Cosa dire si volessero questi monosillabi, non so con certezza fissare; però sembrandomi straniera la fabbrica di questa moneta alle nostre regioni, col supplire i due mancanti elementi, leggerei a tal modo: decus urbis Comi. Quindi ben si vede intendere io che la croce effigiata nel rovescio della moneta, vi fosse stata posta come principale ornamento della città di Como, a simiglianza di tante altre italiane, che gloriavansi in simile guisa, e che io qui riferirei, se non stimassi di arrecare noja al leggitore coll’allegare cose ovvie. Egli è pure il vero che a questi tempi la città di Como obbediva a Lodovico il Moro duca di Milano, ma re Carlo comunque da lui chiamato in Italia, pure i costui inganni temendo, per siurtà la ridusse in suo potere1. Il volere perciò improntata nella città di Como la descritta moneta da re Carlo, è conghiettura cui risponde la lezione della sua leggenda, non che l’istorico riscontro. Purtuttavolta se nelle altre mie assegnazioni non ho mancato di rimettermi al giudizio dei saggi, dovrò farlo maggiormente in questa, che trattasi di un monumento non patrio, e perciò non capace a procurare quella interna persuasione, che assai più sentesi, di quel che non sa manifestarsi»2.

La opinione del Fusco non parve accettabile al Cartier, che al surriferito luogo dello scrittore napoletano soggiungeva: «Je vais plus loin que M. Fusco, dans ses doutes si légitimes, relativement à cette attribution; je suis persuadé que Charles VIII n’a pas frappé monnaie à Còme ni dans aucune autre ville de l’Italie supèrieure, excepté à Pise, et notre légende

  1. Guicciardini, I. IV.
  2. G. V. Fusco, o. c., p. 83-84.