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Chi poi desìa veder qual nasca affanno
10Da così vaghe forme e sì laggiadre,
E come strazi Amore un cor già vinto:
Venga e miri il mio mal, vegga il mio danno,
Come da rei martìri è il mio cor cinto:
Amari figli d’un sì dolce padre.
XXVI1
Questa che in bianco ammanto, e in bianco velo
Pinse il mio Genitor modesta e bella,
È la casta Romana Verginella,
Che il gran prodigio meritò dal Cielo.
5Vibrò contr’essa aspra calunnia un telo,
Per trarla a morte inonorata: ond’ella
L’acqua nel cribro a prova tolse, e quella
Vi s’arrestò come conversa in gelo.
Di fuor traluce il bel candido cuore:
10E dir sembra l’immago in questi accenti
A chi la mira, e il parlar muto intende:
Gli Eroi latini a forza di valore
Difenda pur, che a forza di portenti
Le Vergini Romane il Ciel difende.
XXVII
Ahi ben me ’l disse in sua favella il core,
E l’aer grave, ch’io sentìa d’intorno,
Senz’acque il rivo ove sovente io torno,
E la depressa erbetta e il mesto fiore.
5Me ’l disse l’Augellin che le canore
Voci men lieto disciogliea sull’orno:
Me ’l disse il Sole, il di cui raggio adorno
Parea cangiato in pallido colore.
Nè lieto il pesce al fiumicello il fondo,
10Nè zeffiro scherzava in su la riva:
Ma il tutto era in silenzio alto e profondo.
Ciascun dir mi volea che l’alma è viva
- ↑ Porzia.