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Questi è Mosè, quando scendea dal monte,
E gran parte del Nume avea nel volto.
Tal’era allor, quando con piè non lasso
10Scorse i lunghi Diserti; e tal nell’ora,
Che aperse i mari, e poi ne chiuse il passo.
Qual’oggi assiso in maestà s’onora,
Tal’era il Duce: e qual scolpito è in sasso,
Tal’era il cor di Faraone allora.
XLII.
Dalla più pura, e più leggiadra stella,
Ch’empie tutti di luce i Regni sui,
Ne scelse Iddio la più bell’alma, e quella
Mandò quaggiuso ad abitar tra nui.
5Ma poi crebbe sì vaga e tanto bella,
Ch’ei disse: ah non è più degna di Vui;
E la tolse a’ Profani, e in sacra cella
Per sè la chiuse, e cosa era di lui.
Vago il mirarla or che fra velo e velo
10Tramanda un lume da’ begli occhi fuore,
Come di Sol tra nube e nube in Cielo!
Fora cieco ogni sguardo, arso ogni core
Al raggio allampo alle faville al telo,
Se in parte non coprìa tanto splendore.
XLIII.1
Questo è il dì, che nel Cielo il Sol vestissi
D’atre gramaglie, e in mezzo all’aria bruna
Insanguinata cormparì la Luna
Con doppio orro di non più visto ecclissi.
Questo è il dì, che ugualmente in duo partissi
Il velo e la montagna: ad una ad una
Si aprir le tombe, e l’infernal lacuna
Muggìo nel centro de’ profondi abissi.
In sì gran giorno che bagnò di pianto
Gli Angeli e portò ’l duolo in Paradiso,
Giorno di sì gran lutto ed orror tanto,
- ↑ Per il Venerdì Santo.