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XXXIII.[1]
La prisca Roma del sepolcro fuore
Alzata un dì la gloriosa fronte,
Dov’è, dicea, l’antico mio splendore,
Dove son le mie glorie altere e conte?
5Chi tolse ahi del mio scettro all’alto onore
Il servo Eufrate, il tributario Oronte?
Ov’è Celia, ove Orazio, ove il valore,
Che fer sì chiari un tempo il Fiume e il Ponte?
Dove i Cesari son? Più dir volea
10Quando, o Signore, in voi fissò le ciglia;
E Costantin rivide in trono adorno.
Lieta allor tornò all’urna, ove giacea;
L’Arti e le Muse, e in un la Maraviglia,
Chiamando entro al regal vostro soggiorno.
XXXIV.
Sotto mi cadde quel destrier feroce
Che per dirupi, ahi, mi guidò nel corso:
Misero! e a me non giova, e a lui non nuoce
Scuoter la destra, or ch’egli ha infranto il morso,
5Ei giace, e morde il suolo: io nell’atroce
Periglio piango, talchè a Tigre, ad Orso
Farei pietade, e spingo alto una voce,
Che il Ciel percuote e vorrei pur soccorso.
Ma se t’invoco, or che giacendo io manco,
10Non mi soccorrer nò, chiudi la porta
Gran Dio del Ciel a’ miei sospir pur anco.
Chè se risorgo, io non ho fren, nè scorta:
E senza freno, e cogli sproni al fianco,
Signor, chi sa dove il destrier mi porta?
- ↑ Coronale pel Dramma del Costantino Pio fatto dall’Eminentissimo Pietro Ottoboni nel 1710.