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III1
Là di Saturno al denso globo intorno
Del gran Fabbro divin l’eterna cura
Vasto cerchio formò, che nell’oscura
Notte d’aureo splendor fiammeggia adorno;
5E cinque Lune, a riparar del giorno;
Gli estinti lumi, allor che il Ciel s’oscura
Egli ripose in giro, onde la pura
Luce a quello si sparga ampio soggiorno.
Perchè lontano il Sol così vivaci
10A quel Cielo non vibra i raggi ardenti,
Egli tante v’accese ardenti faci
Fissa in opre sì belle i guardi intenti,
Mira quegli astri luminosi, e taci
Tu, che nieghi a quel Mondo i suoi Viventi.
IV2
Se nel notturno orror, Cintia, ti prese
Giammai desìo di rimirar le stelle,
Tu le credesti picciole facelle
Per vaghezza dei guardi in Cielo appese.
5Eppure l’ererno Creatore palese
Far volle a noi la sua grandezza in quelle;
Che non meno del Sol vivaci e belle
Formolle, e d’immortal fiamma le accese.
Nè quei globi sì vasti, onde riluce
10L’ampio vuoto del Ciel, ei fè per noi,
Che debil ne veggiamo e scarsa luce;
Ma ogni astro è un Sole, che co’ raggi suoi
Altri mondi rischiara, e il giorno adduce
A quante genti immaginar ti puoi.
V3
Già gran madre d’imperi ora sen giace
Donna reale abbandonata e sola: