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Ma mi risponde Apollo: io son, che appresto
Queste nenie funèbri, e questo pianto.
Io degli Arcadi estinti i pregi avvivo,
10E de’ compagni lor ne’ dotti carmi
Son’io, che de’ gran nomi e parlo e scrivo.
Errai, gran Nume, allor ripiglio; e parmi,
Che in queste lodi ogni Pastor sia vivo,
E sprezz’il vano onor di bronzi, e marmi.
VIII
Or che all’Aquila d’Austria è nato un Figlio,
S’esponga pur del Sol paterno al raggio,
Che lo sguardo bambino avrà coraggio
Di tener fisso a tanto lume il ciglio.
5Ei nacque allor che in prossimo periglio
Stava la Fè per l’Ottomano oltraggio;
E allor ch’il regio Augel potente e saggio
Stendea sù gli Empi il periglioso artiglio
Udì il Germe bambino allor che nacque
10Delle trombe Germane il suon guerriero,
L’udì ridendo e quel fragor gli piacque.
Or pugni il Padre, il Figlio cresca: e spero,
Che dian tosto ad entrambi e Terre ed Acque
Dell’Occaso e dell’Orto il doppio Impero.
IX1
Questo, Cesare, è il tempo. Il Ciel balena
Secondo al tuo gran senno, e al braccio invitto:
Passò Eugenio in Pannonia, e giunto appena
Il formidabil Trace ecco sconfitto.
5Già cede Temisvaro, e del trafitto
Nemico i busti rei copron l’arena:
Belgrado, ecco tremante, e dell’afflitto
Sultan già s’ode risuonar la pena.
Cesare questo è il tempo. In mare i legni
10D’Adria già fan tremar l’Ismara foce,