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Ch’io tremi forse a un guardo tuo severo?
Ch’io sudi forse a imprigionarti il crine?
5Serba queste minacce a le meschine
Alme soggette al tuo fallace impero:
Ch’io saprei, se cadesse il mondo intero,
Intrepido aspettar le sue rovine.
Non son nuove per me queste contese;
10Pugnammo, il sai, gran tempo; più valente
Con agitarmi il suo furor mi rese.
Che da la ruota e dal martel cadente
Mentre soffre l’acciar colpi ed offese,
E più fino diventa e più lucente.
II
Onda, che senza legge il corso affretta,
Benchè limpida nasca in erta balza,
S’intorbida per via, perdesi, o balza
In cupa valle a ristagnar negletta.
5Ma se in chiuso canal geme ristretta,
Prende vigor mentre sè stessa incalza;
Al fin libera in fonte al Ciel s’innalza,
E varia e vaga i riguardanti alletta.
Ah! quell’onda son’io, che mal secura
10Dal raggio ardente, o da l’acuto gelo,
Lenta impaluda in questa valle oscura
Tu, che saggia t’avvolgi in sacro velo,
Quell’onda sei, che cristallina e pura
Scorre le vie per cui si poggia al Cielo.
III1
Ben lo diss’io, che da feconda stella
Scendeva, illustri Sposi, il vostro amore:
Non parla in van col suo presago ardore
Qualor ne’ labbri miei Febo favella.
5Ecco la prole avventurosa e bella,
Che la madre imitando e ’l genitore,
- ↑ Per il primo parto della Principessa di Belmonte.