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5Il gemino del cor lago infocato
Vide, e i due monti, u’ s’attesora il vento,
Ch’è vita; e al fin per cento seni e cento
Alle sfere del cerebro fu alzato.
E ricercato in van l’alto e ’l profondo
10Dell’alma in traccia delirar s’udìo:
Qui tutto è di materia inutil pondo.
Tal delirò quell’Empio in suo desìo,
Che cieco a brancolar si diè sul Mondo,
E disse nel suo cor: non evvi Dio.
II
Con un me fuor di me detesto, oh Dio,
Quel, che l’interno me con cieche brame
Pur vuole: e intanto la rabbiosa fame,
Sol mercè del timor pasce il desìo.
5Troppo basso timor, che in van ordìo
Spesso al senso ribelle il suo legame!
Troppo forte desìo, che a stretto esame
Forse è voler, cotanto in su salìo!
Questo basso timor, che in me non vale,
10Questo forte desìo, che tanto puote,
Questo me dentro me, che si prevale,
Svella, o Signor, colle pupille immote,
Di Fede armato il braccio inerme e frale,
Con armi al senso, e alla ragione ignote.
CARLO MARIA MAGGI.
I
Giace l’Italia abbandonata in questa
Sorda bonaccia, e intanto il Ciel s’oscura;
Eppur ella sì sta cheta e secura,
E per molto che tuoni, uom non si desta.
5Se pur taluno il palischermo appresta,
Pensa a se stesso, e del vicin non cura;
E tal sì lieto è dell’altrui sventura,