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E ch’altro duol più saggio il cor mi passe,
Chiedendo a te del primo duol perdono.
Ch’io so ben, ch’a mio prò di lei son privo,
10Perch’io la segua, e miri a fronte a fronte
Quanto è il suo Bello in te più bello e vivo.
Più allor mie voglie a ben amar fian pronte:
Chè se in quella t’amai qual forte in rivo,
Amerò quella in te qual rivo in fonte.
XXIII1
Nate e cresciute sotto fier Pianeta
Son le pecore mie pur magre e smunte!
Rio quei non è, che scorra, erba, che spunte
Per loro, e ’l Ciel se ’l vede, e pur nol vieta.
5Ed or, che i campi estivo raggio asseta,
Arse, e languenti, e dal digiun consunte
Paion dir: ove ohimè, dove siam giunte!
Morte, o ristoro al nostro duol sia meta.
Io gli occhi abbasso per dolor, nè loco
10Mutar mi lice, ch’è destin, ch’io deggia
Esser qui esempio di Fortuna, e giuoco.
E vò, che l’empia si satolli, e veggia
Pur una volta (e lo vedrà tra poco)
Tutta perir col suo Pastor la Greggia.
XXIV
Giunto quel Grande, ove l’altrui gran torto,
E ’l suo duolo il guidò ramingo e vago,
Spettacolo infelice, aspro conforto
Cartago a Mario fù, Mario a Cartago;
5A lui quella dicea: Chi qua ti ha scorto
Ne’ miei scempi a mirar de’ Tuoi l’immago?
Ed egli a lei: Ne’ tuoi naufragi il porto
Trovo a’ propri naufragi, e in te m’appago:
Così un dì nel mio volto al dolor mio
10Mostrai ’l suo volto, ed egli in se i mie’ guai
Coll’energia d’un guardò a me scoprio.
- ↑ Per la Ragunanza degl’Arcadi.