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L’umor per entro, e si mantiene e libra;
5Ma insiem se crudel morbo il sangue sfibra,
Con polve ed erba il rio venen sai torre;
E nuovo spinto qualor lento corre
Mescere a lui, che l’assottiglia e cribra.
E per te spira ancor l’aria serena
10Più d’un che da più mali e cure oppresso
Giunto già si credev’all’ore estreme;
Tal che natura di stupor ripiena
Dell’arte tua si maraviglia, e spesso
Morte ti guata disdegnosa e freme.
II1
Ben può Apennin l’alpestro dorso opporme,
E i freddi ghiacci: onde sua fronte indura,
E far spesso che il piè per mal sicura
Strada erri, e tarde segua e incerte l’orme:
5Ma non potrà con la sua asprezza torme
Ch’Arno io non veggia, e le tue chiare mura,
Fiorenza, e i toschi campi, ove Natura
Mostra sua possa in sì leggiadre forme.
Che se il varco contende, e il piè ritarda
10Quest’ardua rupe, al mio desir non toglie,
Che di tanto tesor vieppiù non arda.
Certo quì l’Alpe pose erta e selvaggia
Natura, acciò di te più ognun s’invoglie,
O terren sacro, e in riverenza t’aggia.
III2
E depor non dovea l’ingiusto sdegno,
Vergine, il Pretor crudo allorchè scerse
Te giovinetta e bella in sì diverse
Fogge soffrir sì duro strazio indegno?
5E senza di timor mostrar pur segno
Franca mirar chi nel tuo sangue immerse