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XIV


Ohimè, che uscìo lo spaventoso arresto
     Dall’implacabil Giudice superno:
     Già veggio il nero auriga, ed il funesto
     Carro di Morte, e spalancarsi Averno.
5Già i Rei, di tromba al rauco suono e mesto
     Son strascinati al duro incendio eterno:
     Giuoco feral di quel reo Spirto è questo,
     Che fa de’ corpi lor crudo governo.
Quindi il collo, le mani, e i piedi avvinti
     10Piombano in quelle oscure chiostre orrende
     D’alta ignominia, e di squallor dipinti.
E ’l carro in giù precipitoso scende,
     E gli urta, e porta agli ultimi recinti,
     Dove penosa Eternità gli attende.


XV


Alma, benchè poggiando ascendi all’erto,
     Ove Virtù risiede alta e divina,
     Torcendo dal sentier piano, che inchina
     Verso il piacere, ove il periglio è certo:
5Pur se raminga in questo ermo deserto
     Te l’immensa pietade al Ciel destina,
     Se in trono eccelso sederai Reina,
     Fia mercè di lei sola; e non tuo merto.
Che sei nel Ben sì stabil poco, e ferma,
     10Che se sospende i forti aiuti suoi,
     O almen benigno un guardo a te non ferma;
Opra non sol degna di Dio non vuoi,
     Ma cieca ognora, e in tua virtute inferma,
     Nè men voler, nè men poter tu puoi.


XVI


Quel, che maligno a sì funesta sera
     Trasse del Mondo i lieti giorni e fausti,
     M’ingombra il cor d’atri pensieri infausti,
     E addita a me de’ falli miei la schiera.
5Alto poi grida: O miser uom, dispera,
     Già tutt’i fonti hai di pietade esausti;