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     Che non sì tosto il vedi, egli vien meno,
     10E brev’età tutte sue forze ha spente.
Faccia pur altri a se meta fatale
     Lo splendor d’un bel volto; ed in poch’ore
     Abbia il Bello, e l’amor la sorte eguale.
Io che nobil racchiudo in petto ardore,
     Non fò pago il pensier d’oggetto frale,
     Perchè eternar bramo nell’alma amore.


II


Di duolo in duolo e d’una in altra pena
     Vago del mio martir mi tragge Amore:
     E il grave incarco, ond’è sì oppresso il core
     È tal, che tempo, nè distanza affrena.
5E di tai tempre ei mi formò catena,
     Che disper’io di trarre il piè mai fuore:
     Tanto può in me l’inusitato ardore,
     Ch’ormai me stesso io più ravviso appena.
Il rio timor, la gelosia m’attrista,
     10La falsa speme, il dispietato sdegno,
     La brevissima gioia al dolor mista.
Sol tra gli affanni arsi d’Amor nel regno:
     Che fia non so s’ei maggior forza acquista;
     So, che ad ogni suo stral son fatto segno.


III1


Signor, se irata contra te risorge
     Con nuovi assalti suoi l’istabil sorte
     Non già t’opprime, anzi teatro or porge
     A tua invitta costanza al petto forte.
5Un nobil core infra i martir si scorge,
     E i perigli alla gloria apron le porte:
     Io già ti veggio appo l’età, che sorge,
     Signor degl’anni, e vincitori di morte.
So ben che invidia rea solo a’ tuoi danni

  1. Al Sig. Conte Alessandro Capizucchi, suo marito.