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XI1
Poichè la bella Ebrea l’alto pensiero
Per la fè, per la patria in se rivolse;
Tutta piena di Dio, con guardo altero
Quindi a beltà, quincia virtù si volsse.
5Voi siate meco, disse; e il lusinghiero
Viso, e ogni vezzo in lei beltade accole:
Virtù dielle il vigore, e così il fiero
Duce trafisse, e il patrio suol disciolse.
Oggi torna Giuditta, e tanto appaga
10Colle dolci armonie di stil sì degno,
Ch’io non so se in Betulia era sì vaga.
So, che l’ire rivolse a più bel segno:
Se un Duce uccise, or l’Obblìo cieco impiaga,
Mostro là di fortezza, e quì d’ingegno.
XII2
Qual mi destano in petto alto stupore
Queste, che gran pennello in tele avviva,
La romana Lucrezia, Elena argiva,
L’una d’amor trofeo, l’altra di onore!
5Quella, perchè la colpa ebbe in errore,
De Regi suoi l’augusta Patria ha priva;
Questa, perchè gradì d’esser lasciva,
Fè la famosa Troia esca d’ardore.
Oh scherzo di destin troppo spietato!
10La potenza di Priamo allor fu doma
Sol da ciò che ai Tarquini avria giovato.
Tebro, avriano i tuoi Re serto alla chioma,
Santo, vivrebbe ancor Troia, se ’l fato
Dava Lucrezia a Sparta, Elena a Roma.
XIII
Su’ lacci, e reti, Elpino, al colle, al piano;
Sen riede autunno a dar le fere ai campi;