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minai a tener celata l’opera mia, e durante i cinque anni e mezzo che rimasi all’università non ne feci parola con alcuno.

Questo tempo fu per me assai malagevole; l’obbligo di dover tener celato il frutto delle mie fatiche mi tormentava, e, dovendo continuamente nascondere altrui i miei pensieri ed i miei disegni, non andavo quasi più da alcuno, rimanevo indifferente a tutto, e il più bel tempo della vita, gli anni dello studente passarono per me tristi. Provai qualche volta a distrarmi frequentando le conversazioni e gli amici; ma mi sentii colà come estraneo, e continuai la mia vita ritirata. Trovavo sollievo soltanto componendo versi di quando in quando nella nova lingua. Una di queste composizioni Mia penso è pubblicata nel primo lavoro sull’esperanto. Al lettore che non sa in quali condizioni d’animo sono stati scritti quei versi sembreranno stravaganti ed incomprensibili.

Durante sei anni, lavorai a perfezionare ed a provare la lingua, ed ebbi un bel da fare, quantunque fino dal 1878 mi sembrasse del tutto ultimata.

Io andava traducendo molto da varie lingue in esperanto e componendo anche nella stessa lingua lavori originali.

Un diuturno esperimento mi mostrò che quanto mi sembrava teoricamente compiuto, praticamente invece non era; molte cose dovetti togliere, mutare, correggere od anche trasformare di sana pianta. Parole e forme, principii e derivazioni vagliai e provai così ad uno ad uno e separatamente come nel tutto insieme.

Alcune forme, che mi sembravano essere ricchezza, mi si mostrarono poi praticamente inutile zavorra, e così allontanai, per esempio, al-