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ufficiali di marina, in pieno assetto sportivo, scendevano a terra a respirare con la bambagia antisettica nelle narici.

Il governo, se avesse avuto un po’ di previdenza, non dico provvidenza, avrebbe dovuto presentare una legge di espropriazione, edotto dal grande terremoto delle Calabrie, quando certi baroni, cioè feudatarj, negavano persino il permesso di ricostruire le case diroccate ai contadini sul loro terreno, o si facevano pagare finanche pochi metri di terra incolta. Così fu favorita la emigrazione che si ebbe dopo, e l’avidità dei fornitori più ingordi che mai, succhioni in fiore.

E commissioni e sottocommissioni assorbirono parte dei danari raccolti.

Una sola idea del governo. Salvare le proprietà; i beni particolari; e anche questa idea non venne subito, perchè i primi giorni abbandonarono la città ai malfattori, vere jene.

Poi le fucilazioni lasciate in balìa dei soldati, che in ciò diedero prove di una risurrezione dell’istinto di caccia innato nell’uomo. Fucilate anche le ombre. Fu sacrificata una giovane vita per cento lire che certo non avranno mai trovato il loro padrone.

E dovevano essere tutti ladri coloro che cercavano fra le macerie? Era naturale che i poveri andassero cercando il poco loro, mentre i ricchi chiedevano ed ottenevano il permesso di scavare.

Forse anche molti avevano l’illusione di trovare ancora vivi i loro cari. Una piccola cagna fu estratta viva a Messina dopo cento giorni di sepoltura. Un medico mi diceva: «Io ho fibre forti ma piansi sentendo quanti vivi ancora erano sotto le rovine.»