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lato per ripartire di nuovo per tutta la durata della guerra dell’indipendenza italiana, e gli mandai in risposta: non abbiamo bisogno di preti. Ah, non era, no, prete come i preti, quella splendida figura di bellezza fisica e d’entusiasmo! Che differenza dal ciarliero Gavazzi!

Sarebbe stata, quella di Piodecimo, al cospetto di tanti popoli diversi, accorsi sul luogo della catastrofe, una messa funebre pontificale mondiale, più solenne che a Sampietro in Roma, coi biglietti d’invito, in grandi uniformi e pompe bizantine. E mercè l’ali angeliche del telegrafo tutti nello stesso giorno avrebbero plaudito e ammirato.

Nè ad uomo nell’età virile, vivo e vegeto, sarebbe stato d’incomodo il viaggio, che avrebbe avuto dappertutto onori divini; egli che, come scrisse il troppo ingiustamente dimenticato Dall’Ongaro.... «trincia l’aria assiso in faldistoro.»

Badate che nè vescovi, nè canonici, nè preti pensarono ai rovinati, ma scapparono.

Perchè non rimasero?

Perchè non vi andò?

Fu un errore madornale il non andare. Siccome tutto è finzione, mirabilmente si sarebbe detto, il pellegrino apostolico sopra la navicella di Sampietro; ed essendo quivi il mare sempre un po’ mosso, ecco la nave in tempesta, come nelle allocuzioni papali retoricamente è ripetuto. Uno dei promontorj devastati si chiama «Vaticano». La notte avrebbe potuto riposare là.

Insomma io chiamerei l’astensione il vero suicidio del papato.