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gioni dell’Italia, Piodecimo voleva andarvi anch’esso. Ma non vi andò.

Quando il 28 Dicembre 1908 un grido disperato invase l’Italia per la distruzione di Reggio e di Messina si può dire che tutto il mondo ne gemesse; lo stesso individuo voleva andarvi anch’esso, ma — recidivo — non vi andò.

All’incirca duecentomila Cristiani pel terremoto versavano fra vita e morte, popoli che invocavano Iddio. Dove dunque avrebbe potuto essere maggiormente il posto del papa?

Là sotto quelle rovine in quelle latebre o spente o semi spente, i fedeli sentendolo, se anche soffocati, affranti, avrebbero potuto raccogliere l’ultimo fiato, le forze estreme e mandare un grido supremo e mettere i salvatori sulle loro tracce e venire estratti.

Potentissimo l’ultimo sforzo che un moribondo può fare per conservare la vita a sè e ai suoi. Sì, sì, se non tutti i martoriati nel loro sepolcro, certo una parte avrebbe potuto venire salvata, e un’altra morire almeno confortata dalla voce del pontefice.

E i superstiti, consolati pensando i loro cari in grazia di dio, avrebbero recitato solennemente il miserere o come altro si chiamino questi biglietti orali d’ingresso pel paradiso.

La sua parola sarebbe stata forse ripetuta dai sepolti, onde ben si sarebbe potuto dire con Mercantini:

               Si scopron le tombe, si levano i morti,
               I martiri nostri son tutti risorti.

Mi giova dimorare in questo pensiero del pontefice benedicente tutti, dando l’assoluzione in articolo mor-