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GIOIA, DOLORE, MORTE


27 Decembre 1908, sera e notte della Domenica.

Dalle coste della Calabria e dall’opposta della Sicilia, in cento paesi, in molte città, d’ogni parte s’andavano spegnendo i lumi come lucciole fra i cespugli dopo le nozze. Si spegnevano dopo la festa e i banchetti che si sogliono fare a natale.

Trecentomila persone si può dire riposano. Pochi i desti e forse tra quelli alcuni i cui nervi, vibranti, già sentono correnti sconcertate.

Ma i più in sonno profondo, con un’aureola di piacere forse, per la serata festiva goduta. E come gli uomini gli animali.

Molti si sentono questa notte più tenaci alla vita pel godimento della giornata trascorsa. Le madri addormentarono i bambini fantasticando del loro avvenire felice. Altre, prima di prender sonno, pensarono forse alle nozze prossime o lontane delle figliuole.

Tale l’attimo tremendo.

Sono le 5 e 20 minuti e la terra si scuote in ogni verso. Il tuono è incessante, come se tutto il cielo si arrovesci sulla terra e pesante, pesante v’incomba. Come se tutte le acque del mare s’inalzino unite nella volontà di sfondare il cielo.

Poi un nuvolo di polvere. Le fiamme del gas divampano, scoppiano i tubi. Incendj come se tanti vulcani s’aprissero nella terra.

Un grido universale; quasi in un cimitero immane i morti destatisi, ricercantisi tra loro, volessero risorgere dalle grevi sepolture.