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a noi, ci parrebbe di trovarci in un piacevole ritrovo di montagna, tranquillo e accogliente.

In questa «terrazza dell’Averno» consumiamo i nostri pasti e lavoriamo. Quando l’orologio segna l’ora del riposo notturno, benché il sole splenda sempre sulla crosta del globo lunare, ci ritiriamo nel razzo e ci sdraiamo su11e brande, aspettando il sonno riparatore. Cosí possiamo risparmiare energia elettrica, ossigeno e altri preziosi prodotti delle nostre macchine. Non abbiamo ancora risolto il problema della alimentazione perché qui, intorno alla nave-proiettile, per un raggio di sessanta chilometri almeno non abbiamo trovato una semplice radice, una pianticella, una fogliolina di natura commestibile. Forse, scendendo molto giú nelle caverne lunari, qualche cosa si potrebbe trovare. Ma abbiamo come un ignoto terrore, quasi un segreto disgusto a ricercare organismi viventi in questo mondo che somiglia tanto a un gigantesco cimitero.

Le nostre discussioni sullo «scheletro» spesso arrivano a veri e propri litigi. Ieri (dico ieri adoperando un termine di significato terrestre: dovrei scrivere ventiquattro ore sono), il professar Boering uscí in questa stranissima frase:

— Per me, lo scheletro che abbiamo veduto, è proprio lo scheletro di un uomo. Perciò, in