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Un litigio per l’uomo della Luna
Passa il tempo e ancora non riusciamo a sollevarci dall’incubo che ci opprime dal momento in cui abbiamo veduto, nel fondo di quell’orrido speco, uno scheletro umano. Abbiamo trascorso molte ore, tra «una dormita e l’altra» in una specie di peristilio formato da due colonne di lava che precedono l’entrata di una vasta grotta, sul fianco del muraglione circolare fiancheggiante un circo. Discorriamo e giuochiamo alla luce della lampadina elettrica. Quale sia questo circo, non sappiamo precisamente: è uno dei tanti che dànno alla Luna quell’aspetto singolare che ricorda le schiumarole e certi visi butterati dal vaiolo. Poiché questo rifugio si trova molto al disotto del livello lunare, cinque o seicento metri, noi possiamo vivere e respirare senza il tormento dell’elmo da palombaro. Adesso, trascorsa la notte di quindici giorni, che ha gelato la Luna intorno a noi, siamo usciti dal razzo col primo raggio di sole e ci siamo rifugiati in questa specie di peristilio cui l’amico Boering ha messo poeticamente il nome di «terrazza dell’Averno». La temperatura qui è dolce, e se non fossero la immobilità e il silenzio della campagna che si stende davanti