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delle grandi barbe fluenti, bianche e giallastre, con dei brutti nasi pieni di bitòrzoli, con degli occhiali spaventosi, e poi, vestiti di certe lunghe cappe nere ricamate in oro, con dei cappelli a cono altissimi e dei guantoni verdi... Sembravano tanti morti in permesso, vestiti in maschera.

Sul suolo di cemento della piazza era stato disegnato con del carbone un ampio circolo. E i sapienti andavano entro a quello tracciando altre linee e altri disegni capricciosi, adoperando compassi, seste gigantesche e penne stilografiche mostruose. Tutti disegnavano, accumulavano cifre su cifre, trinciavano l’aria con i loro arnesi, facendo segni cabalistici, ma nessuno parlava.

Quell’alto silenzio venne turbato a un tratto da Ciuffettino.

I dotti, sentendo le risate del ragazzo, lasciarono per qualche istante le ricerche tormentose del grande problema.

Erano tutti indignati. Chi poteva permettersi..? Uno dei vecchioni, scoprendo il nostro eroe, gli corse incontro, emettendo delle piccole grida gutturali, lo acciuffò per la collottola, e alzandolo all’altezza del naso, domandò, stizzosamente:

— Di dove vieni? Da quale scuola scappi? Perchè ridi?