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E si mise in cammino.

Però, credendosi vicinissimo a casa, il ragazzo sentì sfumare a poco a poco tutti i suoi buoni propositi come nebbia al sole.

— Ora, ho bell’è capito... mi toccherà a ritornare dal sor Teodoro... a tirare il mantice... se pure non voglio andare a fare il garzone di bottega dal farmacista... o se non torno a scuola... Bel divertimento!... A ripensarci bene, c’è poco da stare allegri. Beato chi può girare il mondo, libero di sè, senza pensieri e senza bisogno di lavorare... Almeno si vedono dei paesi nuovi, e ci si diverte... Auf! Gran brutto destino, quello di noi altri ragazzi...

Cammina, cammina; il nostro eroe ad ogni svolto della via, diceva, con un palpito di cuore: - ci sono, - e invece non arrivava mai. Cocciapelata non compariva. Ciuffettino provò un certo sgomento. Com’era lunga quella via, e quanto silenzio da per tutto!

Alla fine, eccoti apparire, in fondo in fondo alla strada, delle mura merlate, delle case, una selva di comignoli che gettavano delle colonne di fumo nero al cielo, e delle cupole.

— Non è Cocciapelata di certo - pensò Ciuffettino - ma è una città, e siccome è una città, laggiù ci saranno degli uomini, e siccome ci saranno degli uomini, qualcuno mi darà da mangiare e da bere!

In pochi minuti giunse alla porta della città sconosciuta.

Sarebbe entrato se, d’improvviso, un omaccione alto quanto un campanile non fosse sbucato fuori da uno sgabuzzino presso la porta, e non l’avesse preso per le gambe, come un fantoccio, facendo un brutto cipiglio, e susurrando con voce straordinariamente fioca: