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— Ecco... parli un po’ col sor Teodoro... badi che in paese lo hanno soprannominato Trippetta... e lui se ne ha per male... non gli scappi di bocca quel soprannome, sa...
— Stia tranquillo... Pezzo di canaglia!
— Badi come parla!... Mi meraviglio!
— Ma io...
— Una canaglia sarà lei...
— No: in questo caso sarà lei...
— Proprio vero: tale il figlio, tale il padre...
— Io dicevo a Ciuffettino, che si diverte a buttarmi il gatto fra le gambe...
— Ah! non parlava con me...!
— Ma si figuri...
— Allora, facciamo la pace...
— Diamine! qua la mano...
— Eccola, compare Attanasio...
Intanto Ciuffettino, con una abilità sorprendente, da perfetto contorsionista, era passato tra le gambe del padre e si era accoccolato senza che nessuno se ne avvedesse, sotto lo sgabello del maestro, e lì, ricominciò la medesime storia con il gatto.
— Il fabbro, capisce - continuava l’insegnante - ha molto lavoro. Sul principio il ragazzo non potrà guadagnar tesori, ma... ohi! ohi!
— Che c’è?
— C’è che quel suo gatto ha certe unghie! non potrebbe tenerlo a casa, benedetto lei?
— A casa? Ma il mio Gigi deve stare in bottega...!
— Ah! urfante, grullaccio, mascalzone...!
— Moderi i termini, sa!
— Che vuol moderare? lo ripeto: furfante, grullaccio...
Il maestro l’aveva naturalmente, con Ciuffettino.