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Il sor Attanasio si asciugò gli occhi con il rovescio della mano pelosa. Ciuffettino, che in fondo in fondo non era cattivo, si sentì commosso, e mormorò con un fil di voce:

— Babbo... non lo farò più... perdonami...

— Eh! disgraziato! il peggio poi sarà per te... Io ti perdono, ma il mio perdono non serve a nulla. Bisogna rimediare...

— Rimedierò...

— Ma in che modo? lo dica lei, sor maestro...

— Lo metta ad imparare un mestiere, dia retta a me;... forse... chi sa... con un padrone severo, potrà emendarsi.

Il ciabattino tornò al suo bischetto, e ricominciò a tirar lo spago. Intanto il nostro eroe era riuscito a ficcar la sua minuscola personcina tra lo sgabello del babbo e la parete di legno della botteguccia, rubando il posto al povero Gigi. Il maestro si voleva sedere su uno sgabello in faccia al sor Attanasio: ma siccome non c’entrava nello sgabuzzino, così dovette sedersi mezzo dentro e mezzo fuori. E il sole gli picchiava sul groppone con una forza!...

— Ecco, il mio consiglio sarebbe - faceva il maestro, che si sentiva abbrustolire, dimenandosi su lo sgabello - sarebbe quello...

— Dica, dica - incoraggiava compar Attanasio, mentre Ciuffettino si divertiva a tirargli il gatto nelle gambe - le sue le son parole d’oro...

— Ecco. C’è il fabbro ferraio che sta in piazza, il quale avrebbe bisogno di un ragazzo...

— Va’ all’inferno - strillò il ciabattino, cercando di sferrare un calcio al gatto.

— Dice a me?

— A lei? Le pare, sor maestro? L’avevo con il gatto. Seguiti pure. Diceva, che il fabbro...