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— Ma che cos’è? - disse, stizzito, Ciuffettino XXXV. - quando io do un ordine...
— Il popolo desidera ardentemente di farti onore!...
— Dite al popolo che lo ringrazio, ma ora ho sonno.
— Impossibile maestà: sarebbe un’offesa!
Nella foresta, che era tornata tranquilla per un momento, si rinnovarono le grida rauche, discordi, assordanti. I parrocchetti, i pappagalli verdi, i giaccò, le cocorite, le are, i kakatoa, intonarono l’inno nazionale dei pappagalli. Figuratevi che roba! Ciuffettino si alzò dal nido, tappandosi le orecchie, e brontolando:
— Anche questa mi doveva succedere!... Speriamo che duri poco...
Beccolungo, che aveva udito, rispose subito con un certo sarcasmo:
— Poco? Ne avrai fino a domani all’alba, grande imperatore vittorioso!
— Ma io non voglio!
— Sì, tu non vuoi, ma il tuo popolo lo vuole!
E così, per quella notte, Ciuffettino non potè chiudere occhio. La mattina dopo gli si consenti di dormire un paio d’ore: ma non appena il sole fu alto all’orizzonte, Beccolungo e Beccocorto vennero a svegliare il ragazzo, e questo, ancora con gli occhi tra i peli, dovette fare un gran discorso ai sudditi festanti.
— Posso mangiare? - chiese, dopo il discorso, Ciuffettino XXXV.
— Certo! - rispose Beccolungo - tutto quello che vuoi....
— ... che vuoi! - ripetè Beccocorto.
— Grazie, per ora mi contento di un panierino di fichi...
— Impossibile!