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tillii nelle loro piume multicolori, formavano un quadro degno di ispirare anche quel famoso pittore di pappagalli che si chiamava... oh! il nome lasciamolo lì.
Il vecchio pappagallo con gli occhiali, arrampicandosi a fatica su di un ramo posto al disopra di Ciuffettino, mostrò agli adunati la corona imperiale e, la lasciò cadere proprio su la zucca del fanciullo. Allora tutti i pappagalli, ad un tempo solo, intonanarono l’inno dei Rampicanti, inno scritto dall’imperatore Ciuffettino XIV. Le stonature di quei cantori non potete figurarvele; basti dirvi che Ciuffettino, il quale, in fondo, non conosceva che la musica suonata dall’unico organetto sfiatato di Cocciapelata, dovette tapparsi le orecchie!... Appena l’inno cessò, i pappagalli presero a strillare:
— Viva il nostro imperatore! viva Ciuffettino XXXV!...
E incominciarono la festa. Allora Ciuffettino disse, in confidenza, a Beccolungo e a Beccocorto:
— Sentite: non per offendervi: vi son grato delle vostre dimostrazioni di affetto e dei vostri inni: ma vi sarei anche più grato se voleste offrirmi qualcosina da buttar giù, nello stomaco...
— C’è tempo! - disse, con una riverenza, Beccolungo.
— ... tempo! - ripetè Beccocorto.
— Ma io ho fame! - strillò Ciuffettino, col pianto alla gola.
— Vergogna! Un imperatore non deve mai aver fame - ribattè Beccolungo.
— ... mai fame! - ripetè Beccocorto.
— Fino a stasera non si mangia - sentenziò Beccolungo.
— Pazienza! - sospirò l’imperatore dei pappagalli -