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Le due figure più profondamente suggestive della mitologia greca furono, per la religione, Demetra, dea della Terra, che non era ammessa nell’Olimpo, e, per l’arte, Diònysos figlio di una donna effimera che morì nel darlo alla luce.

Eppure la vita stessa, nella sua più modesta e più umile sfera, produsse una meraviglia più ammirevole che la madre di Proserpina o il figlio di Semele. Dalla bottega del falegname di Nazareth sorse una personalità infinitamente più grande di tutte quelle create dalla leggenda e dal mito e destinata – cosa strana! – a rivelare al mondo il senso mistico del vino e delle reali bellezze del giglio nella valle, come nessuno aveva fatto ancora, nè sul Citerone, nè a Enna.

Il canto d’Isaïa: «Egli è il disprezzato e l’ultimo degli uomini, un uomo di colore che conosce l’angoscia e noi gli abbiamo nascosta la nostra faccia» gli era parso una profezia e la profezia fu compiuta nella sua persona. Ogni opera d’arte che è creata