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ignorai. Permisi al piacere di governarmi e finii coll’essere abbattuto da una sventura orrenda. Adesso non mi rimane più che una cosa: l’assoluta umiltà.
Ecco quasi due anni, tra poco, che io sono in prigione! Da principio una selvaggia disperazione cominciò ad impossessarsi di me; mi abbandonavo a una pena tale ch’era disprezzabile anche a vedersi, a un’ira terribile ed impotente, all’angoscia e all’indignazione, alla tortura che mi strappava i più acuti singhiozzi, a una miseria che non aveva nessuna voce per esprimersi, a un dolore muto. Sono passato attraverso tutte le forme possibili della sofferenza. Meglio ancora di Wordsworth, io ben so ciò ch’egli intese di dire in quel suo distico
- La sofferenza è costante e oscura e misteriosa,
- e ha la natura dell’Infinito.
Ma quando, talvolta, io mi rallegro all’idea che le mie sarebbero interminabili, non potevo, però, sopportare ch’esse fossero prive di significato. Ora, io trovo riposta in un