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per quanto egli li abbia seguiti di volta in volta; e quando vuol dolersi del fato di Tirsi o celebrare lo scolaro Gypsy, gli occorre pur prendere la zampogna per esprimere il suo tormento. Ma, insomma, sia o non sia stato muto il fauno di Frigia – io non posso essere silenzioso. L’espressione mi è tanto necessaria quanto le foglie e i fiori lo sono per i rami neri degli alberi che s’intravvedono al di là delle mura della prigione e che senza posa si àgitano nel vento. Tra la mia arte e il mondo – c’è ora un vasto gorgo, ma tra l’arte e me stesso non ce n’è alcuno, almeno io lo spero.

A ciascuno di noi – la sua sorte. Il mio destino è stato di pubblica infamia, di lunga prigionia, di miseria, di rovina, di sventura, di fiele, ma io non ne sono degno – in ogni caso non ne sono ancor degno. Mi sovviene d’aver detto spesso che avrei potuto sopportare una tragedia reale, pur ch’ella mi si presentasse con un mantello di porpora e con la maschera d’un nobile dolore; ma ciò che