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Sui tetti 95


inferiori delle ali eran visibili e sembrava che cadessero bruscamente dal cielo, rimbalzando con un nuovo slancio nella notte e nella neve. In fretta attraversarono il colossale reticolato di metallo de’ suoi sostegni, e si trovarono sopra a piattaforme mobili uguali a quelle che Graham aveva contemplate dal balcone. Seguitarono ad arrampicarsi a traverso il trasparente piano inclinato che cuopriva quella via, trascinandosi a causa della neve come meglio potevano, con le mani e coi ginocchi.

Quasi dappertutto il tetto era infossato all’interno, in guisa che Graham scorgeva la strada soltanto attraverso la nebbia: ma vicino all’orlo superiore il cristallo era chiaro e si poteva benissimo vedere ciò che succedeva al disotto. Malgrado le pressanti sollecitazioni della sua guida, non potè fare a meno di cedere per un momento alle vertigini è restò disteso sul cristallo in preda ad un malessere che lo paralizzava. In basso, a guisa di mobili punti, i nottambuli della Città si agitavano in quel chiarore perpetuo, e le piattaforme seguitavano incessanti i loro giri. Dei fattorini, delle persone che si recavano a sconosciute occupazioni con la velocità di un proiettile, scivolavano lungo i canapi disposti come un arco di cerchio, e una moltitudine immensa si ammucchiava sopra i fragili ponticelli. Ciò che Graham contemplava, sembrava un gigantesco alveare di cristallo e quell’abisso si prolungava sotto di lui verticalmente. Per preservarlo da una caduta, non ci poteva essere meglio questo vetro che sembrava resistente ma del quale egli ignorava lo spessore. La strada era in fondo piena di luce e di calore, ma Graham era invece quasi assiderato dall’umidità e dal ghiaccio: aveva i piedi gelati tanto che non poteva più muoversi.