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tile, sempre rimirando il malaguroso elmo, e senza far attenzione alla moltitudine che lo strano caso aveagli intorno adunata, dimandava solo laconicamente e quasi stupido, se alcuno per avventura sapea di dove là fosse caduto, ma niuno potè dargliene il menomo indizio. Tuttavia, siccome ciò sembrava esser l’unico oggetto della sua curiosità, lo divenne in breve anche degli altri tutti; ma le congetture quali ognuno facea, si consideravano, appena proposte, assurde ed improbabili, come inaudito era l’evento. Mentre perdevansi in vani ragionamenti, un contadinello abitante di un vicino casale, tratto colà dalla sparsa novella, disse, esser l’elmo prodigioso in tutto simile a quello che vedeasi nella chiesa di S. Niccola sul capo della statua di marmo nero rappresentante Alfonso il Buono, uno dei loro antichi sovrani. “Furfante! che di’ tu?” gridò Manfredi, riscuotendosi con furiosa rabbia dal suo sbalordimento, e preso il giovine per la gola: “come ardisci,” gli