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L’altro respirò a lungo, e giuocherellando con la corda che gli stringeva la vita: — «In questi anni anch’io appresi qualche cosa. Hillele non sarà pari al filosofo che tu ascoltasti, e Simeone e Sciamma sono, senza dubbio, inferiori al tuo maestro presso il Foro. La loro sapienza non batte strade vietate; quelli che seggono ai loro piedi si alzano ricchi soltanto della scienza di Dio, della Legge e di Israele, imbevuti di amore e di rispetto per tutto ciò che a quelli si riferisce.
Frequentando il Grande Collegio e meditando su quanto vi ascoltai, ho appreso che la Giudea d’oggi non è più quella d’una volta. Io apprezzo la differenza che corre fra un regno indipendente e una piccola provincia soggetta. Sarei più vile, più abbietto di un Samaritano, se non risentissi umiliazione pel mio paese. Ismaele non è il legittimo Sacerdote, e non lo potrà mai essere, vivo l’illustre Hannas. Eppure egli è un Levita, uno di quei devoti che per migliaia d’anni hanno servito il Signore Iddio e la nostra religione. La sua....»
Messala lo interruppe con un riso mordace.
— «Ora ti comprendo! Ismaele, tu dici, è un usurpatore. Ciò non di meno ti fa male che si possa prestar fede ad un Idumeo piuttosto che a lui. E’ questo che ti ha punto! Per l’ebbro figlio di Semele, che cosa significa esser Ebreo! Cambiano gli uomini e le cose, il cielo stesso e la terra; ma un Ebreo mai. Per lui non vi ha passato o futuro; egli è oggi ciò che i suoi avi furono prima di lui. Guarda! su questa sabbia io descrivo un cerchio. Ora dimmi che altro è la vita di un Ebreo? Gira e rigira, qui Abramo, là Isacco, Giacobbe; Dio nel mezzo. Per il Tonante, il cerchio è troppo grande. Lo rifaccio....»
Si arrestò, puntò il pollice per terra e descrisse con le dita un cerchio intorno ad esso.
— «Vedi, questa impronta del pollice è il Tempio, la linea formata dalle dita la Giudea. All’infuori di questo spazio non esiste nulla di buono! Le arti? Erode fu costruttore di palazzi, quindi è maledetto. La pittura, la scoltura? Guardarle è un peccato. La poesia l’avete inchiodata sugli altari. In guerra tutto ciò che conquistate in sei giorni lo perdete nel settimo. Questa è la vostra vita e la vostra mèta. E, non vuoi che rida? contento dell’adorazione di un tal popolo, che cosa è mai il vostro Dio a petto del nostro Giove romano, che ci presta le sue aquile perchè le nostre armi conquistino l’universo? Hillele, Simeone,